2. Quadro normativo

  1. Il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina
  2. Omicidio e altri reati
  3. Associazione per delinquere e le procure antimafia
  4. Giurisdizione nazionale

1. Il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina

Il reato che viene subito contestato a chi viene identificato come colui che ha guidato un’imbarcazione diretta in Italia con a bordo dei migranti, o come colui che ha assunto un ruolo nel corso della navigazione, è quello di cui all’art. 12 del Testo Unico Immigrazione (c.d. reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina) previsto dall’ordinamento italiano al fine di scoraggiare, punire, reprimere gli ingressi in violazione delle norme che regolano l’ingresso regolare in Italia e, in tal modo, proteggere i confini dello Stato.

Fermo dopo uno sbarco, Pozzallo 2016. Fonte: Polizia di Stato.

La norma punisce non solo chi promuove, dirige, organizza, finanzia il traffico di esseri umani, ma anche chi materialmente trasporta migranti sprovvisti di visto di ingresso, e, in generale, chiunque con il proprio comportamento faciliti l’ingresso illegale di stranieri in Italia o in altro Stato europeo. E’ evidente come questo reato non intenda punire solo i membri dell’organizzazione che controllano e gestiscono il traffico di migranti, ma chiunque assuma un ruolo, anche minimo e/o insignificante, che di fatto favorisca e aiuti l’ingresso di migranti in territorio nazionale. Viene così posto sullo stesso piano il membro dell’organizzazione di trafficanti e colui che guida l’imbarcazione, o tiene la rotta, a prescindere dalle circostanze e delle modalità che lo hanno spinto a “contribuire” all’ingresso dei migranti nel territorio italiano. Si capisce così come quello che interessa allo Stato italiano è far di tutto per evitare che persone senza visto di ingresso entrino in Italia e lo fa punendo chiunque contribuisca, volontariamente o no, al viaggio dei migranti verso il suo territorio. Il bene giuridico tutelato dal reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina è l’interesse dello Stato a difendere i confini nazionali, e di conseguenza i migranti che rischiano la vita o vengono sfruttati economicamente per effettuare i viaggi non sono considerate persone offese, a meno che non dimostrino di avere subito un grave danno (violenze, torture, la perdita di un parente nel corso della traversata).

La pena prevista per il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina (non aggravato, c.d. favoreggiamento semplice) è quella del carcere da 1 a 5 anni e della multa di 15.000 per ciascuna persona agevolata all’ingresso irregolare.

Le pene sono aumentate o diminuite da circostanze aggravanti e attenuanti previste dal medesimo articolo 12. In particolare, il caso di c.d. favoreggiamento qualificato prevede che se i passeggeri sono almeno 5, se la loro vita o la loro incolumità sono state messe in serio pericolo, se i migranti trasportati irregolarmente in Italia sono stati sottoposti a trattamenti disumani e degradanti, se il reato è stato commesso insieme ad almeno tre persone o utilizzando documenti falsi, o se gli autori del reato hanno agito con armi, la pena è della reclusione da 5 a 15 anni. Le aggravanti contestate più di frequente sono l’elevato numero di passeggeri e le condizioni pericolose della barca; a volte si ritrova anche l’accusa dell’utilizzo di armi, ad esempio quando qualcuno è trovato con un coltello addosso o se il capo di imputazione riporta il concorso con altri soggetti ignoti (il riferimento è ai trafficanti rimasti nel paese di partenza), ma che operavano con l’uso di armi. La legge prevede un aumento ulteriore di pena nel caso in cui vengono accertate più aggravanti cumulativamente.

E’, inoltre, prevista un’ulteriore aggravante, contestabile sia nel caso di favoreggiamento c.d. semplice che nel caso di favoreggiamento c.d. qualificato (i.e. con le aggravanti), che prevede che le pene sono aumentate da un terzo fino alla metà qualora il reato sia commesso al fine di: trarre un ingiusto profitto (un guadagno acquisito con azioni contrarie alla legge) anche indiretto; reclutare persone da avviare allo sfruttamento sessuale, lavorativo soprattutto se sono minori. Nel caso di flagranza (cioè se gli autori sono sorpresi a commettere il reato) è previsto l’arresto; è inoltre applicabile la custodia cautelare in carcere se non vi è possibilità di altra misura restrittiva della libertà personale meno afflittiva.

Si nota come le pene previste per questo reato, soprattutto qualora siano ritenute applicabili le aggravanti, sono elevatissime: si può arrivare a una pena pari a 15 anni di carcere ancora elevabile se ci si guadagna un ingiusto profitto. Nel caso ad esempio di un capitano che ha condotto un’imbarcazione con a bordo più di 5 persone, magari ricevendo un compenso economico per la sua attività, considerato dalla Polizia e dalla Procura un ingiusto profitto, egli può rischiare per il solo fatto di aver guidato quasi 20 anni di carcere. In realtà, le pene più alte per un capitano su una barca in cui nessuno è morto si aggirano intorno ai cinque anni, ma dovrebbe far riflettere che agli occhi del sistema italiano questa rappresenta una pena “lieve”.

Anche se la reclusione rappresenta la pena realmente vissuta dalle persone condannate (come approfondiamo nella sezione ‘Libertà?’) non va dimenticata l’esistenza della pena pecuniaria, che viene applicata in modo sistematico con conseguenze surreali: è normale per qualcuno essere condannato a, per esempio, 3 anni di carcere e un milione di euro in multa. Senza la possibilità economica di pagare la multa, spesso questo lato diventa trascurato, ma potrebbe avere delle conseguenze più avanti nelle vite dei condannati.

E’ importante evidenziare, inoltre, che il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina non richiede per essere configurato il fine di lucro, ossia non è richiesto che il favorire l’immigrazione irregolare, organizzando, finanziando, promuovendo o effettuando il trasporto di migranti nel territorio italiano, per essere considerato reato, debba essere volta a ottenere un guadagno.

Questo assume una rilevanza centrale perché nel diritto penale quando una norma prevede che un determinato comportamento possa essere considerato reato solo qualora sia posto in essere per realizzare una particolare finalità, questa finalità che spinge ad agire deve essere dimostrata dalla pubblica accusa (dai Pubblici Ministeri) e qualora non sussista o non venga dimostrata il reato non si configura. Un esempio è il reato di favoreggiamento della permanenza illegale dello straniero, prevista al comma 5 dell’art. 12 TUI che punisce chiunque favorisca la permanenza illegale dello straniero “al fine di trarne un ingiusto profitto”. In questo caso quindi non è sufficiente ad esempio ospitare a casa propria uno straniero privo di permesso di soggiorno per commettere il reato di favoreggiamento della permanenza illegale, ma bisogna altresì voler trarne un ingiusto profitto.

Prevedere che favorire il soggiorno irregolare di uno straniero è reato solo se è volto a trarne un profitto ingiusto comporta che si possa applicare il reato in molti meno casi, e, nello specifico, solo in quelli in cui ci sia la finalità di sfruttare economicamente la situazione di irregolarità dello straniero.

Al contrario, come si è detto il reato di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare non prevede che debba esserci il fine di lucro per esserci il reato, con la conseguenza che se qualcuno favorisce uno straniero irregolare a entrare nel territorio italiano commette il reato a prescindere dal fine che l’ha spinto a farlo.

Sempre più evidente diventa la volontà dello Stato italiano di punire e criminalizzare a tutti i costi chiunque si metta alla guida di un’imbarcazione, senza che nient’altro rilevi.

​2. Omicidio e altri reati

L’art 12 TUI non è l’unico reato contestato ai c.d. scafisti. Esso come si è visto rappresenta spesso il reato base, quello che viene in rilievo per aver guidato l’imbarcazione, tenuto la rotta e, in generale per aver avuto un ruolo, o presunto tale come diremo in seguito, nella navigazione. Purtroppo però durante le traversate possono verificarsi delle circostanze non direttamente poste in essere dal c.d. scafista di cui però lo stesso viene ritenuto responsabile (nonostante in molti casi tali circostanze siano state causate da azioni – o da atti omissivi –di enti istituzionali sia in modo diretto che indiretto attraverso le politiche di chiusura delle frontiere operate dagli Stati europei).

Questo succede quando l’imbarcazione affonda o si ribalta e ci sono vittime tra i migranti. In questo caso viene contestato il reato di omicidio plurimo ai c.d. scafisti sia nella forma di cui all’art. 589 c.p che dell’art. 586 cp. La prima norma prescrive il reato di omicidio colposo punito con la pena del carcere fino a cinque anni, che può essere aumentata fino a quindici anni se le vittime morte o ferite sono più persone. La seconda, rubricato “morte come conseguenza di altro delitto”, prevede che se come conseguenza di un reato doloso si verifica, in maniera non voluta, la morte o la lesione di una persona l’autore del reato venga punito con le pene prescritte per l’omicidio colposo (art. 589 c.p.) o per le lesioni personali colpose (art. 590 c.p.) ma aumentate. Le pene in questo modo, sommate a quelle previste per l’art. 12 aumentano ulteriormente e si può arrivare fino alla pena dell’ergastolo.

​3. Associazione per delinquere e le procure antimafia

Tutti i casi relativi all’ articolo 12 del TUI vengono attenzionati da una particolare sezione delle procure, la Direzione Distrettuale Antimafia (DDA), -presente solo in determinati Tribunali, ossia in quelli ove ha sede la Corte di Appello (in Sicilia sono a Palermo, Catania, Caltanissetta e Messina)- che, invece, li tratta direttamente quando è contestato altresì il reato di associazione per delinquere. Il percorso che ha portato la DDA a nutrire interesse per tutti i procedimenti, a prescindere dalla sua competenza, è scandito da varie circolari e decreti legge che rappresentano in sé dei momenti topici della criminalizzazione delle migrazioni.

Il ruolo della magistratura antimafia è quello di indagare e processare le organizzazioni criminali nazionali e internazionali. Il codice penale italiano prevede il reato di associazione a delinquere – ai sensi dell’art. 416 c.p.– quando tre o più persone si associano per commettere uno o più reati, punito con una reclusione dai 3 ai 7 anni. Le procure che perseguono i casi relativi all’art. 416 sono le DDA e non le procure presenti in ciascun tribunale, al fine di favorire un maggiore coordinamento nazionale nella persecuzione dei casi di criminalità organizzata.

Come mai, quindi, la DDA ha avuto così tanto interesse in questi casi? E cosa c’entra la legislazione anti-Mafia con la migrazione? Il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, art. 12 TUI, non comporta necessariamente anche un’accusa di associazione per delinquere, né tanto meno quella di associazione per delinquere di stampo mafioso. Ma quasi dall’istituzione del reato di cui all’art. 12 nel 1998, notiamo un tentativo costante di passare le indagini e la persecuzione dei casi di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina ai vari organi dell’antimafia, ovvero la DDA, la Direzione Investigativa Antimafia (DIA) e la Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo (DNAA). La ragione risiederebbe nel fatto che la magistratura antimafia, anche se non vuole limitarsi a perseguire gli ultimi anelli della catena del traffico – cioè i capitani –, ma vuole, al contrario, arrivare ai vertici internazionale del traffico di esseri umani, per fare questo ha bisogno comunque di avere tutte le informazioni utili possibili, comprese quelle inerenti ai procedimenti cd minori – quelli contro i capitani.

Con la Convenzione di Palermo del 2000 – che ha istituto l’unità sulla criminalità organizzata delle nazioni unite (UNDOC) – si è cercato di creare un filo conduttore che unisse lo smuggling e il trafficking con il crimine internazionale. Si propose allora che le Procure antimafia italiane sarebbero potute essere un modello per la lotta contro il traffico internazionale di droga, di armi e anche di essere umani. E con l’attuazione in Italia del Protocollo di Palermo nel 2006, la legge italiana ha coinvolto gli organi dell’antimafia nel modo più inquietante, permettendo l’utilizzo di operazioni sotto copertura (art. 9, legge 146/2006) nell’ambito del contrasto al reato di art. 12, comma 3 del TUI, cioè nel caso di favoreggiamento con aggravanti, e passando alla procura antimafia tutte le indagini su reati di natura ‘transnazionale’.

Inaugurazione del convegno di Palermo, 2000. Fonte: Keystone

Dal 2010, a seguito dell’aumento degli arrivi sulle coste pugliesi e calabresi, si cominciò a far strada tra le procure l’interesse per i casi contro gli scafisti e, soprattutto, quelli volti, non a perseguire chi guidava la barca, ma a ricostruire la gerarchia dell’organizzazione criminale internazionale.

Nell’estate del 2013, la procura antimafia di Catania ha iniziato di seguire una serie di casi collegati alle navi madri gestite da egiziani, fra l’altro cercando di accusarli dell’art. 416 c.p.. A questo punto l’interessa dell’antimafia è diventato nazionale, con una nota dalla DNAA che cerca di affrontare il problema di giurisdizione che era ormai diventato il nodo del problema processuale nei processi per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Un cittadino egiziano che ha protestato contro l’intervento delle autorità italiana (parole ascoltate in un’intercettazione): “Non possono farlo, possono salire, fare quello che vogliono, ma poi devono lasciarli andare.” Questo attesta che, fino al 2013, non era possibile per la polizia italiana arrestare gli equipaggi delle navi madri in acque internazionali.

Per affrontare questo problema – e anche assicurare la misura cautelare per gli indagati – la Direzione Nazionale Antimafia ha costruito un lungo e complesso argomento sull’esistenza della giurisdizione italiana in acque internazionali, essenzialmente imponendo la sua autorità in quanto l’ente principale impegnato nella lotta contro le organizzazioni internazionali criminali. L’argomentazione, tra altro, si basa sull’idea che la connessione fra nave madre, piccola imbarcazione e navi di soccorso (in questo caso, le navi di Frontex e della marina militare) costituissero “una catena” – un argomento identico a quello che successivamente sarebbe usato nel confronto delle Ong. (Torniamo a quest’argomento nella sezione seguente).

Sempre nel 2013, nel tentativo di aumentare la possibilità di raggiungere i vertici internazionali del traffico di persone, la DNAA ha richiesto che i tribunali ordinari, in qualsiasi caso di imputazione per favoreggiamento all’ingresso clandestino che potenzialmente sottendesse un contesto di associazione per delinquere, comunicassero le informazioni dei casi medesimi alle procure antimafia.

Questa non vuol dire, però, che tutti i casi erano poi stati assegnati alle procure antimafia; p.e. tantissimi casi sono rimasti di competenza delle procure ordinarie presso i Tribunali di Agrigento, Ragusa e Trapani. I tentativi di passare questi casi alla gestione dell’antimafia sono poi continuati: il Decreto Minniti del 2017 ha stabilito che i casi di associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento aggravato dell’immigrazione clandestina fossero di competenza delle Procure Antimafia; infine, nel 2019, il decreto ‘Sicurezza Bis’ ha sancito la competenza della DDA per tutti i casi di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, anche per l’ipotesi non aggravata.

Il reato di cui all’art. 416 viene contestato principalmente in indagini che vertono sui ‘vertici’ delle organizzazioni che operano principalmente fuori dall’Italia – casi questi che stanno fuori dall’ambito di questo report.

​4. Giurisdizione nazionale

Va evidenziato inoltre come l’Italia considera sottoposti alla sua giurisdizione (si considera quindi lo Stato competente a giudicare) i reati commessi dai c.d. scafisti anche quando il trasporto di migranti avvenga a bordo di un’imbarcazione priva di bandiera, è stato accertato in acque extra territoriali e nelle acque nazionali italiane si è verificato solo l’ingresso dei migranti. La Cassazione infatti stabilisce dal 2014:

“In tema di immigrazione clandestina, la giurisdizione nazionale è configurabile anche nel caso in cui il trasporto dei migranti, avvenuto in violazione dell’art. 12 […] a bordo di un’imbarcazione (nella specie un gommone con oltre cento persone a bordo) priva di bandiera e, quindi, non appartenente a nessuno Stato […] sia stato accertato in acque extraterritoriali ma, successivamente, nelle acque interne e sul territorio nazionale si siano verificati quale evento del reato l’ingresso e lo sbarco dei cittadini extracomunitari per l’intervento dei soccorritori, quale esito previsto e voluto a causa delle condizioni del natante, dell’eccessivo carico e delle condizioni del mare.”

Questo comporta che il numero di procedimenti penali contro i c.d. scafisti è elevatissimo in Italia e questo non solo per la sua posizione geografica, ma anche per la volontà dello Stato italiano di giudicare condotte che, essendo avvenute all’estero, potrebbero interessarle meno. Fondamentalmente la linea giuridica è stata stabilita in seguito al documento della Direzione nazionale antimafia menzionata sopra. La logica si basa sul concetto dell‘autore mediato’, cioè che anche se ci sono vari attori che pongono in essere un segmento della condotta nella ‘catena’ del reato, pur non volendo commetterlo o farne parte, la loro presenza non spezza la connessione fra l’atto originale e l’eventuale effetto; cioè nel nostro caso, l’atto della nave madre rimane un reato punibile in Italia anche se l’eventuale l’ingresso clandestino è commesso da una nave di soccorso non punibile. Per la Corte di Cassazione, la nave di soccorso rappresenta nient’altro “che un tassello essenziale e pianificato di una concatenazione articolata di atti”. Questo è il caso sia di una nave militare, di Frontex, o di una ONG.

La questione sulla legittimità della giurisdizione italiana nei casi contro i cosiddetti scafisti continua, però, a essere contestata in aula, anche se la Corte di Cassazione – e il Governo – sembra aver preso una posizione consolidata. La giurisdizione italiana si applica in base all’argomento delineato sopra, costruito soprattutto per quanto riguarda le navi di soccorso e le navi madri, nonostante si tratti di atti commessi da cittadini extracomunitari, in acqua internazionale o comunque non italiane. Inoltre, quando si tratta di reati diversi dal favoreggiamento dell’immigrazione clandestina – p.e. omicidio plurimo, nel contesto di un naufragio – anche le vittime sono di un paese extracomunitari. Ciononostante, lo Stato italiano continua di difendere la sua giurisdizione in tali casi (per esempio nel caso del naufragio di Ferragosto 2015, che esaminiamo in un’altra sezione).